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LA MINDFULNESS PER TRATTARE I DISTURBI DELL’ATTENZIONE NEI BAMBINI

Daniel Goleman, New York Times, 2014

Prendere decisioni quotidianamente può favor13MIND-tmagArticle-v2ire lo sviluppo di una capacità mentale chiamata controllo cognitivo, ovvero la capacità di mantenere la concentrazione su una scelta importante, ignorando altri impulsi.

Una scarsa pianificazione, mancanza di attenzione e difficoltà ad inibire gli impulsi invece indicano un calo del controllo cognitivo.

Molte ricerche suggeriscono che rafforzare questa capacità con esercizi di consapevolezza, può aiutare i bambini ad affrontare il deficit di attenzione e iperattività e il corrispettivo disturbo di attenzione negli adulti.

Le ricerche mostrano ormai il fallimento del trattamento di elezione utilizzato per queste condizioni: i farmaci.

Nel 2007, i ricercatori della University of California di Los Angeles, hanno pubblicato una ricerca che constatava che l’incidenza dell’ADHD tra gli adolescenti in Finlandia, insieme alle difficoltà di funzionamento cognitivo e ai relativi disturbi emotivi come la depressione, era praticamente identica ai tassi tra gli adolescenti negli Stati Uniti.

La vera differenza? La maggior parte degli adolescenti con ADHD negli Stati Uniti sono stati trattati con l’assunzione di farmaci, mentre in Finlandia ciò non avveniva.

Susan Smalley, genetista del comportamento alla UCLA, ha sottolineato l’importanza della questione relativa all’utilizzo di farmaci come trattamento di elezione per questi disturbi.
In un ampio studio pubblicato l’anno scorso in The Journal of American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, i ricercatori hanno riferito che la maggior parte dei giovani con ADHD trae beneficio dai farmaci solo nel primo anno di trattamento, ma questi effetti generalmente svaniscono entro il terzo anno, se non prima.

“Non ci sono benefìci duraturi a lungo termine nel prendere farmaci per l’ADHD”, riferisce James M. Swanson, psicologo presso l’Università della California. «Lo sviluppo della consapevolezza cognitiva invece può ridurre l’ADHD”.

Secondo questo ricercatore, il controllo cognitivo consiste in azioni come il ritardo della gratificazione, la gestione del’impulso, l’autoregolazione emotiva o auto-controllo, la soppressione di pensieri irrilevanti e la prontezza nell’apprendimento.
Questa capacità mentale, che i ricercatori hanno scoperto, predice il successo sia nella scuola che nella vita lavorativa.

Betty J. Casey, direttore dell’Istituto Sackler for Developmental Psicobiology presso il Weill Cornell Medical College ha riferito che gli adolescenti hanno difficoltà a reprimere i loro impulsi. La maggior parte delle persone adulte raggiunge buoni livelli di controllo cognitivo.
Tra gli adulti in buona salute, tale abilità comincia a scemare notevolmente verso i 70-80 anni d’età e spesso si manifesta come incapacità a ricordare nomi o parole, a causa di distrazioni che la mente una volta avrebbe soppresso.

Come gli specialisti stanno suggerendo negli ultimi tempi, rafforzare queste capacità mentali, potrebbe essere particolarmente utile nel trattamento dell’ADHD.

Per farlo, i ricercatori stanno testando la mindfulness: insegnare alle persone a controllare i loro pensieri e sentimenti senza giudizi o reazioni. Quando si accorgono che la loro attenzione si è spostata, devono rinnovare la loro concentrazione.

Secondo un recente rapporto gli adulti con disturbi di attenzione hanno dimostrato di trarre benefici dalla mindfulness combinata con la terapia cognitiva; i loro miglioramenti nelle prestazioni mentali erano paragonabili a quelli ottenuti da soggetti che hanno assunto farmaci.

La mindfulness ha portato ad un calo di errori legati a comportamenti impulsivi, un problema tipico del disturbo da attenzione, mentre la terapia cognitiva li ha aiutati a essere meno auto-giudicanti in merito a errori o distrazioni.

Adam Gazzaley, neuroscienziato presso l’Università della California, San Francisco, ha affermato che la meditazione è un esercizio di controllo cognitivo che esalta “la capacità di auto-regolare le distrazioni interne”.

La sua ricerca mira a riprodurre questi effetti con i videogiochi: ha progettato, assieme ai suoi colleghi, NeuroRacer, un gioco per adulti in cui sono chiamati a rispondere a segnali stradali che compaiono improvvisamente durante la guida su una strada tortuosa.

Secondo uno studio pubblicato su Nature, il gioco migliora il controllo cognitivo in soggetti che vanno dai 60 agli 85 anni.

Stephen Hinshaw, specialista in psicopatologia dello sviluppo presso l’Università della California, Berkeley, ha detto che i tempi sono maturi per esplorare l’utilità di interventi non farmacologici come la consapevolezza cognitiva.
Il Dr. Swanson è d’accordo. “Ero scettico finchè non ho visto i dati, ” ha detto, “ed i risultati sono molto promettenti.”

Articolo scritto da Daniel Goleman tratto dal New York Times

DECISIONE O LIBERA SCELTA? Il valore dei “no”

I figli vogliono decidere. I genitori devono.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che i genitori hanno il dovere di decidere per i figli. In casa devono essere mamma e papà a decidere e a determinare le regole. Soprattutto quanto più i bambini sono piccoli.
Questo atteggiamento rassicura i figli, perché sentono di avere una guida ferma che indica la strada senza tentennamenti e senza delegare a loro decisioni che in realtà non vogliono e non possono prendere.
Certo i bambini un po’ alla volta desiderano poter prendere delle decisioni. Anche questo va fatto gradualmente e sotto la conduzioni dei genitori.
Per esempio verso i tre/quattro anni possiamo far scegliere cosa mangiare a cena, cosa indossare per la scuola, che libro leggere. Attenzione però, poniamo sempre due alternative: “Preferisci il riso o la pasta?…la tuta o i jeans?…” E così via. In tal modo i bambini hanno la percezione di poter decidere, ma non vengono sopraffatti da mille possibilità, che per loro equivalgono a zero possibilità.
Coinvolgere i piccoli in ogni decisione li confonde e li angoscia, perché non sono ancora in grado di decidere veramente. In genere rispondono per compiacere i genitori, cercando di capire cosa mamma e papà si aspettano come risposta.
Per imparare a scegliere, per imparare a prendere decisioni, soprattutto grandi, bisogna allenarsi su quelle piccole.

Intorno ai 24 mesi i bambini vivono una fase di grande cambiamento e anche i piccoli che fino a quel momento hanno dimostrato di avere un carattere dolce e accomodante possono cambiare quasi all’improvviso. Questo passaggio è tanto naturale quanto disorientante per mamma e papà e coincide con con una grande presa di coscienza del bambino: il piccolo scopre di essere una persona separata e indipendente e di avere personalità e volontà proprie.

Il NO è l’unico strumento che un bambino ha a disposizione per ribadire questa scoperta e per trovare la propria personalità. Ecco perché ci sembra che i piccoli dicano no a tutto, anche quando vorrebbero dire sì.

Se teniamo a mente ciò, possiamo disporci diversamente di fronte alle opposizione dei bambini.

Vediamo insieme come:

– Certo non è semplice, ma prima di tutto dobbiamo cercare di non vivere i no come una sfida costante e sfinente nei nostri confronti, ma come un passaggio necessario per la crescita.

– Poniamo pochi no, quelli davvero necessari. Proviamo a pensare che, per la prima volta nella sua vita, un bambino scopre ogni giorno un po’ di più un mondo che non è ancora in grado di comprendere e le occasioni in cui si sente dire no a sua volta si moltiplicano. Se tutto è un divieto, allora nessun divieto avrà senso!

-Poniamo poche regole, ma che siano molto chiare e precise e che devono essere rispettate sempre, anche durante i capricci. La chiarezza dei genitori e sapere cosa si può o non si può fare riduce le occasioni in cui i bambini faranno i capricci.

– Cerchiamo di essere fermi e di mantenere un atteggiamento coerente e lineare: non assecondiamo mai i capricci, né in privato né in pubblico e, se non riusciamo a gestirli, prendiamo il bambino in disparte e lasciamo sfogare il pianto finché non si calma.

– Dimostriamo comprensione e determinazione al contempo: diciamo ai bambini che li capiamo, che capiamo che si sentono arrabbiati-annoiati…, ma che quella determinata cosa non si può comunque fare.

– Assecondiamo la naturale voglia di indipendenza dei bambini, ma offriamo sempre scelte limitate.

Noi abbiamo il dovere di sapere perché i NO detti dai bambini sono necessari; teniamolo sempre a mente per non trasmettere mai ai piccoli l’idea che, se si comportano in un certo modo, sono bambini cattivi.

MINDFULNESS E ETÀ EVOLUTIVA

Noi generalmente riconosciamo che quando i bambini affrontano fattori di stress e sfide quotidiane, sentono frequentemente apprensione, sviluppano paure e preoccupazioni e sperimentano reazioni psicologiche che essi possono interpretare con ansietà (reazioni di scontro, rissa, fuga o blocco).
Esperienze di smarrimento e sensazioni di inadeguatezza o mancanza di aiuto possono contribuire a stati di malessere.
In base ad alcuni modelli teorici, fattori di stress (acuti e cronici) possono contribuire all’insorgenza di disturbi depressivi e di ansia (Chethik 2000; Kendall 2000; Klerman, Weissman, Rounsaville & Chevron 1995).
In tutte le nostre vite i fattori di stress sono davvero inevitabili.
Il programma sopra esposto integra il paradigma cognitivo-comportamentale di identificazione e ristrutturazione di pensieri disfunzionali con esercizi di consapevolezza e accettazione derivati dalle pratiche di meditazione buddista.
Modificare o rieducare modelli reattivi abituali, il più precocemente possibile e, quindi, proprio in età evolutiva, può essere molto utile anche alla “prevenzione” dei disturbi correlati allo stress, oltre che nei casi in cui è già presente uno stato ansioso o depressivo.
Accrescendo l’attenzione e la consapevolezza dei pensieri, delle emozioni e delle percezioni sensitive “nel momento presente”, i bambini apprendono una modalità dell’essere che facilita e predispone alla salute e al ben-essere.

GLI OBIETTIVI:
1. Riduzione dello stress, aumento della consapevolezza di sé e delle reazioni emotive;
2. Costruzione di uno stile di vita sano e positivo;
3. Riduzione dell’impulsività e dell’ansia;
4. Miglioramento della concentrazione e del rendimento nelle attività scolastiche;
5. Aiutare i bambini a diventare più consapevoli dei loro pensieri, emozioni e sensazioni del corpo.
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IL GRUPPO:
È rivolto a bambini tra 9-10 anni (classi dalla 4 alla 5 elementare)
Ogni incontro (ad esclusione del primo) è costituito di quattro parti e dura 90 minuti. Le attività di gruppo sono a cadenza settimanale, per una durata di 12 settimane.
Gli esercizi sono vari durante il corso di una seduta, alternati tra attività sensitive, meditazioni sedute, esplorazione del corpo, pratiche di visualizzazione, disegno o scrittura.

Le discussioni di gruppo dopo ogni esercizio sono un elemento integrante del programma.

Autostima e bambini

Disapproviamo i comportamenti. Non i bambini.
Dire: “Sei un bambino cattivo” è molto diverso dal dire: “ Hai fatto una cosa cattiva”.
Nel primo caso diamo un giudizio totalizzante e definitivo, che schiaccia il bambino sotto un peso insostenibile senza via d’uscita.
Nel secondo caso il giudizio è circoscritto a un’azione precisa, che può essere corretta o migliorata.
La percezione dei bambini in situazioni del genere è molto simile a quella degli adulti.
Per esempio, immaginiamo che il nostro capo ci dica che non siamo capaci di lavorare. Ci arrabbieremmo e ci sentiremmo a disagio, perché verremmo interamente sviliti.
Diverso sarebbe se ci dicesse che un determinato documento o un certo lavoro non è stato fatto al meglio. Potremmo rimanerci male, ma capiremmo che esiste un margine di miglioramento.
In questo caso lo stesso vale per i bambini.
Esprimere disapprovazione rispetto a un gesto, a un comportamento, a un’espressione verbale indica al bambino che è quella cosa specifica che non va bene, NON lui come persona.
Inoltre ciò permette a noi di mostrargli alternative di comportamento, a lui di sapere che può fare meglio, senza mortificazione né attacchi alla sua già fragile autostima. Autostima che, soprattutto da piccoli, dipende da mamma e papà.

‘Separarsi bene’ aiuta i bambini a soffrire meno

Articolo su La Provincia Articolo2014-05di Anna Bandera.

Dagli ultimi dati Istat risulta che il 72% delle separazioni e il 62,7% dei divorzi hanno riguardato coppie con figli; il 90,3 % delle separazioni di coppie con figli, ha previsto l’affido condiviso. I bambini sono dunque spesso centro e al centro di dinamiche complesse, attivate ed interpretate da personalità adulte. Per altro, la ‘rottura della struttura familiare’, più nota come ‘separazione’, è considerata tra gli eventi di vita più stressanti per tutti i membri che compongono una famiglia; il dolore degli adulti, sperimentato in questo processo, risulta differente da quello provato dai bambini: per gli adulti la separazione rappresenta il fallimento di unprogetto di convivenza, per i bambini unattacco al proprio senso di sicurezza e al bisogno/diritto di contare sugli adulti.
A fronte di ciò, è auspicabile che…

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Nati per vivere emotivamente

Locandina incontriIncontri per genitori, educatori ed insegnanti.

Relatrice: Anna Bandera – psicologa dell’età evolutiva